Le prospettive del Pri/Si può rimanere repubblicani sciogliendosi in altri schieramenti? La forza di lottare da una posizione di minoranza Il segretario regionale del Pri dell'Emilia Romagna interviene nel dibattito, apertosi da tempo su queste colonne, sulle prospettive del Pri. di Widmer Oliviero Valbonesi Può sopravvivere il Pri nella contingenza politica attuale in cui il sistema politico sembra incardinarsi in un bipolarismo che tende al bipartitismo? La nascita del Pd e del Pdl rispondono alle tradizioni ideali, storiche e politiche, di quella cultura laica, repubblicana, liberaldemocratica che affonda le sue radici nel Risorgimento italiano? Se si risponde a quest'ultima domanda in modo negativo, come tutti i comportamenti lasciano capire, essendo Pd e Pdl due partiti costruiti per la conquista del potere e non certo partiti con una cultura di governo fondata sull'interesse generale, allora è semplice anche la risposta alla prima domanda: il Pri deve sopravvivere per la prosecuzione di un'idea, ma anche perché quell'idea serve l'interesse generale del paese. Qualcuno pensa che si possa fare del Pri una Fondazione e poi sciogliersi nel Pdl; altri che occorra farlo verso il Pd. Dico subito che si può andare nel Pdl o nel Pd individualmente, ma nessuno si illuda che si possa liquidare il Pri, almeno fino a quando ci sono repubblicani che vogliono rimanere tali. Se qualcuno non se la sente più di combattere se ne vada, le porte sono aperte, ma nessuno può pensare di portarsi appresso la casa. E si può rimanere repubblicani anche dentro i due partiti? Si illudono coloro che pensano di essere ex Pri e rimanere repubblicani. Dove? Dentro il Pd, che vorrebbe essere il nuovo partito riformista sintesi delle tradizioni riformatrici del nostro Paese? Non è possibile, perché o si è repubblicani o si è un ibrido (comunista, socialista, liberale, cattolico). Non si può essere repubblicani e rivendicare la tradizione risorgimentale e poi essere una macedonia di tradizioni, alcune delle quali hanno addirittura combattuto il Risorgimento. E poi sarebbe anche un approccio sbagliato al nuovo partito, se ognuno degli iscritti al costituendo soggetto riformista parlasse in virtù delle proprie origini e non della nuova casa politica. Dove? Dentro il Pdl, in cui permangono posizioni nazionaliste, localiste, populiste e clericali? Le tradizioni possono rimanere nel cuore degli uomini e delle donne che le sentono; ma sopravvivono e si trasmettono solo se si è disposti anche ai sacrifici organizzativi e personali per tramandarle. Ed è un sacrificio condurre una battaglia di minoranza in un soggetto come il Pri che ha il titolo e l'eredità storica del repubblicanesimo italiano, titolo dato anche da personaggi che qualcuno intende rivendicare a simbolo della propria testimonianza politica. Mazzini, Saffi, Ugo La Malfa e Spadolini hanno operato e sono morti dentro il Pri consapevoli del ruolo che la storia aveva loro affidato. Non sono andati sotto la bandiera altrui per testimoniare la loro fede repubblicana. E lo hanno fatto col coraggio di far vivere una dialettica politica, non di andarsene quando il loro punto di vista era minoritario: lottavano anche duramente, ma dentro il Partito repubblicano. La crisi della politica richiede un confronto alto delle idee; la tradizione repubblicana e liberaldemocratica non può vivere come testimonianza individuale: deve trovare espressione politica vera. Fino a che uomini e donne rimarranno nel Partito repubblicano, nessuno di coloro che andrà altrove si illuda di poter rivendicare la nostra gloriosa tradizione. Quindi, se qualcuno pensa che non possa esistere più una cultura repubblicana attraverso una forza repubblicana autonoma, e confondesse la dignità di una posizione politica - che pur se in alleanza può essere garantita - con l'opportunismo individuale, si sbaglia. Come si può parlare di rispetto dell'avversario se non si ha rispetto delle proprie origini e di coloro che le coltivano? Quello che lo storico della letteratura Francesco De Sanctis indicava come il soggetto da cambiare attraverso "la riforma morale risorgimentale", ai giorni nostri si è trasformato nel classico "ometto" che tira a campare, chiuso nel suo scetticismo, che si ritira in un limitato orizzonte incapace di gesti generosi come l'orgoglio di lottare in minoranza. Quando si cita Ugo La Malfa, ad esempio, si sappia almeno che andò sempre controcorrente, perché ricco di quelle virtù morali che solo chi rimane coerente con se stesso può mantenere. Per fortuna ci sono ancora repubblicani che, pur divisi sullo schieramento, sono ancora capaci di serrare le file sull'appartenenza, pronti a riprendere il cammino per la costruzione di quel polo laico liberaldemocratico che prima il congresso e poi il convegno di Milano avevano individuato. E che occorre portare avanti con determinazione. E chi non ci sta si collochi dove vuole, ma lasci il testimone a chi vuole tenerlo alto. |